Questo racconto l’ho scritto nel ’94, quando ero ospite in una comunità per tossicodipendenze, e per sdrammatizzare cominciai ad annotare gli episodi più o meno buffi di cui ero testimone, con lo scopo di farne un romanzo, tratto da fatti reali ma con una formula stilistica ironica che permettesse di trattare un argomento drammatico con leggerezza. Lo scopo era descrivere la mia esperienza ma con una vena irrisoria. A quel tempo, prima d’entrare in comunità, ero disilluso e privo di volontà, di fronte ai fallimenti e la delusione d’aver perso i sogni per strada. Credevo di colmare quei vuoti con l’eroina, scaricandomi le responsabilità della vita. Poi l’incontro con una volontaria, di cui mi innamorai, mi motivò a ritrovare la mia dignità anche se vivevo questa relazione in modo conflittuale, vedendo in quella figura sia la fidanzata complice che l’educatrice intransigente. Anche per lei era difficile conciliare il ruolo del precettore con quello dell’amante. Era un rapporto destabilizzante in cerca di un equilibrio improbabile. Il secondo scopo è descrivere un amore antitetico, confrontando opposte visioni. Il romanzo si sviluppa in tre fasi: l’analisi esasperata del contesto storico, diviso genericamente in assistenti e assistiti. Il racconto ironico della relazione tra i due protagonisti, così diversi tra loro, che rimarca le contraddizioni caratteriali e l’avvincente sfida a superarli. La descrizione comica del periodo in comunità, la difficile convivenza, la ricerca di valori, i sacrifici, le scoperte e i risultati. Concludendo che le posizioni radicali non permettono il dialogo e va sempre ricercata una via di mezzo.