“Ti trovo bene stamattina” le dissi sorridendo. Liliana si stava pettinando seduta sul lettino. All’improvviso la crisi, al mio grido accorrono medici e infermieri, mi urlano di uscire, dieci minuti dopo mi chiamano: “Non ce l’abbiamo fatta”. Liliana è lì immobile, ancora scomposta sul lettino; le faccio una carezza, la guancia è fredda, le chiudo la bocca. Preso dagli adempimenti burocratici, i primi giorni passano veloci; non c’è tempo, né voglia di pensare: Liliana non c’è più. Poi lentamente, sprazzi di luce, piccole scariche di lampo e la speranza che avvolge: non è possibile che cinquanta anni di vita insieme siano annullati perché un cuore ha smesso di battere. E i ricordi di una vita si affannano tutti insieme per uscire e gridano: “Liliana è ancora qui”. Gli episodi belli appaiono ancora più belli, nitidi, chiari; gli episodi brutti diventano evanescenti nella nebbia del rimpianto e nel dolore del rimorso e poi lentamente spariscono. Liliana vive ancora.