Questa storia è incentrata sulle figure di papà Rodolfo e mamma Gina. Lui con la sua cultura e ricchezza e lei con la sua gaiezza e spontaneità. Amavo entrambi, però nei primi anni mi mancava la vicinanza di papà. Rodolfo era solito contemplare il fiume, come a cercar conforto, come se gli aprisse nuove prospettive della vita, e da lì prendeva le decisioni. Voleva bene a sua mamma Elena e alle sue sorelle e le ascoltava quando gli dicevano di dubitare che il piccolo di Gina fosse suo figlio. Lei aveva tanti corteggiatori e dava confidenza a tutti; non volevano l’erede Arcellaschi che, con tutta probabilità, avrebbe sperperato la fortuna della famiglia. Però il cuore non mente, prima di tutto a lui, che ricordava bene quella notte nell’alcova con Gina sotto i bombardamenti, quella scheggia volata proprio lì, vicino a loro, chissà forse un presagio nel destarlo che tutto può cambiare. Rodolfo ben ricordava come aveva lusingato l’ingenua ragazza di trentasette anni meno di lui col desiderio, sincero, di avere l’erede. Però il cuore non mente nemmeno agli altri membri della famiglia Arcellaschi, cominciando da mamma Elena, che lo tormentava col desiderio di un nipote, figlio dell’unico figlio maschio. Il nostro Po è complice delle nostre scelte, così come è stato per Gina, mia mamma, quando lo costeggiava in bicicletta da Castelmassa a Bergantino. Il suo carattere orgoglioso, però, non la fece mai cedere a suppliche, l’iniziativa doveva essere di lui. Quell’esperienza inaudita di generare il figlio la formò, non sapendo che per lei la vita non sarebbe mai stata come per tutte le altre mamme. Cara mamma, hai speso la tua vita per me. Grazie.