La storia è quella di un bambino che vive l’intera fanciullezza in campagna. In Barbagia. In quella campagna del centro Sardegna che dai primi del novecento, i turisti europei e continentali amano visitare perché “è la terra dei banditi e dei Balentes” a seguito delle imprese criminali che molte bande hanno compiuto e che sono state riportate dai giornali di tutta Europa. In questo periodo, facendo il “piccolo servo pastore” ha modo di conoscere l’ambiente barbaricino e i personaggi che lo abitano e che in qualche maniera lo governano. Personaggi come Isidoro, “l’eroe, coraggioso e ardito”; Don Simplico, un nobil-uomo che con la sua bonarietà e saggezza mediava le brighe tra i pastori e i capi contrada, come Tziu Ambrosu Murru e Tziu Costantinu (Titinu) Arcamone. Uomini questi, temuti e rispettati, i quali con la loro “arte nel saper governare le cose e gli uomini”, dettavano, al posto della Legge dei Giudici e dei carabinieri, la loro “regola” alla quale, tutti del circondario dovevano assoggettarsi e asservirsi. Campagne, quelle Barbaricine, di una bellezza sconvolgente: solare e al tempo stesso rustica e solitaria, dove chi sgarrava “la regola”, non aveva scampo. Però dove c’è l’odio c’è pure l’amore. E Isidoro e Zina, seppur divisi da un fatto delittuoso, si amano e si cercano, per alfine unirsi in matrimonio, benedetto da quel sant’uomo di parroco don Meloni, indicato affettuosamente dai paesani come Nonnu Melone, (Nonnu in sardo significa padrino), il quale, avendo gestito per più di cinquant’anni la parrocchia orotellese, aveva avuto il tempo di battezzare più di tre generazioni di quei suoi miscredenti paesani. Un romanzo intenso. Dolce e agro, proprio come sono le campagne, i paesi e gli uomini che li popolano.
Ho letto il romanzo. Molto profondo. Una bella lettura.