La stagione dei corvi bianchi narra di una leggenda generata dalla realtà storica; di un tesoro concreto e astratto nel contempo poiché scaturisce dalla narrazione delle vicende vissute da persone che usarono il sapere per fini contrapposti, talvolta esaltanti, ma sovente anche avvilenti; da un racconto connesso all’epopea classica arborense come Giudicato, a partire dall’anno 1000 e del suo definitivo tramonto, 1478, settantacinque anni dopo la scomparsa, a causa di peste, del villaggio d’Oleri. Si parla di un kertadore, sopravvissuto alla peste, avvocato, difensore nei processi, istituzione prevista dalle leggi arborensi. L’elaborazione del romanzo avviene con l’attenzione rivolta all’intrecciarsi di tante storie con la grande storia, e nell’avviso sul deterioramento che può comportare in un popolo l’illusione di poter vivere di rendita dagli allori conferiti a personaggi del passato e come una disillusione postuma, un eventuale offuscamento d’immagine di coloro che sono stati ritenuti padri della patria, potrebbe deprimere politicamente e moralmente lo stesso popolo.