La fine del Feudalesimo nel 1812, preceduta dalle riforme del Caracciolo contro i privilegi della nobiltà e del clero, sancì la floridezza della borghesia agraria in Sicilia. Lo spezzettamento dei feudi, prima e dopo quella data, e la vendita delle proprietà allodiali avevano permesso lo smisurato arricchimento degli amministratori dei baroni, dei dipendenti delle Universitas (Comuni) e dei campieri nei tanti borghi feudali, spesso nei panni di gabelloti. L’antica nobiltà, benché desautorata, con quel decreto aveva mantenuto i propri latifondi e la possibilità di lasciarli in eredità ai discendenti. Il vuoto di potere accentuava la concorrenza tra vecchi e nuovi latifondisti, gli uni e gli altri fissati ancora alla mentalità feudale, la quale spesso generava aperti conflitti tra le due categorie. Comune nemico era poi il brigantaggio. Per questo, nobili e borghesi si circondavano di campieri, militi a cavallo e altra servitù fidata, provenienti dalla gendarmeria dell’ex signore feudale, tutti uomini pratici di armi, i quali garantivano la sicurezza dei loro padroni, guerreggiavano le loro faide, e in cambio usufruivano della loro protezione. Questa la premessa del romanzo, dove si snodano gli avvenimenti di tutto l’800. Nel loro seno si inseriscono le vicende conflittuali nel comune di Regalpetra (Racalmuto, in provincia di Agrigento) tra i Matrona e i Tulumello e loro solidali, le stesse che, tra la fine del ’700 e tutto l’800, interessarono la Sicilia occidentale, Palermo in testa. Sullo sfondo i principali fatti storici nazionali e sovranazionali che si sono avvicendati nel “secolo lungo″, fino al 1910, con le loro ripercussioni sui centri isolani, tra i quali Regalpetra, dove stentavano ad assumere la fisionomia risorgimentale, cristallizzati nel riscatto delle masse umili da una parte, e nella perseverante sete di potere e di Indipendentismo delle classi dominanti dall’altra. Tali avvenimenti alimentavano l’odio tra le due famiglie e radicalizzavano le loro posizioni politiche: i Tulumello fedeli al re Borbone, da cui avevano ricevuto l’investitura a barone; i Matrona liberali della prima ora, simpatizzanti di Mazzini e poi convertiti alla monarchia sabauda. Mentre le due famiglie rivali lottavano per lavare l’onta di antichi torti e per arrivare, senza esclusione di colpi, a occupare il primo scranno del Comune, la Sicilia e l’Italia tutta subivano un radicale cambiamento. L’unità d’Italia spianò del tutto la strada alla borghesia e offrì opportunità di realizzazione a tanti ceti emergenti. Tra questi, coloro che avevano garantito la sicurezza del latifondo acquisirono a poco a poco sempre più autonomia, già aggregati nella prima metà dell’800 in associazioni segrete malavitose. All’inizio del ’900 i Matrona e i Tulumello e tante altre famiglie abbienti di Regalpetra, sotto l’incalzare degli eventi, avevano chiuso la parabola discendente. Con loro finiva l’età dell’oro di Regalpetra e di tutta l’isola. Una nuova classe di faccendieri ormai teneva le leve del potere; ma questa è tutta un’altra storia.