Il presente saggio consta di una serie di riflessioni antropologico-letterarie basate sul concetto di alterità e sulla dicotomia fra essere e apparire, che tramite la letteratura si riflette attraverso la storia e la società. L’Autrice, attraverso le proprie riflessioni, vuole individuare il concetto di straniero ed estraneità, non nell’ottica di mera appartenenza a un altrove geograficamente collocabile, bensì si cercherà di indagare la condizione esistenziale di chi, in particolari circostanze, entra in contatto con società differenti dalla propria, intrecciando rapporti con altri uomini e donne, confrontandosi con istituzioni, costumi e abitudini che vengono considerate estranee. In correlazione a questa premessa non si può esulare dal lemma astratto e neutro di alterità, che richiama il rapporto che ciascun essere umano ha con l’alter e da cui è incessantemente in posizione di distacco, a prescindere da questioni di appartenenza a culture differenti. Dunque, il concetto di straniero si amplia a qualcosa che si riferisce alla condizione in cui ciascuno si trova a vivere nel proprio quotidiano, nel rapportarsi a persone di fronte alle quali si sente “alieno” o nell’incespicare in circostanze stranianti. «Homo sum, humani nihil a me alienum puto», scriveva Terenzio a distanza di secoli da Omero… forse il prendere coscienza di sé, capire di non essere “nessuno” è una condizione necessaria per potersi comprendere tra uomini e osservare le trame di vita del prossimo, senza ritenerle “aliene”.