L’Autore rivela, anche in questa silloge, il suo deciso ripudio dello stile descrittivo tradizionale a vantaggio di un linguaggio scarno quanto si vuole, ma senz’altro efficace per cogliere il senso della realtà. In piena linea a una nuova ventata d’ermetismo. Rivisita con le sue potenzialità espressive, il Cilento, un meraviglioso e semplice mondo, fatto da una quotidianità di sacrifici e dolori, poche gioie e molte speranze. Usa parole scarne per un mondo scarno, termini essenziali per gente che vive di essenzialità, immagini ruvide per uomini che lottano giorno dopo giorno per la vita. Ma al di là dell’impatto formale ed esteriore, la rivisitazione psicologica di quel mondo è condotta lungo i sottili fili del più intransigente individualismo, perché in una terra quasi sempre ingrata, in destini molte volte avversi, in una storia in cui le masse sono state serve di pochi dispotici potenti, l’essenza s’è retta nel sacrificio personale del singolo, sulle sue intuizioni, sulle estemporanee azioni che lo hanno portato a disegnare il corso della propria esistenza. Un’esistenza magra ma fiera, povera ma orgogliosa, di stenti ma anche di consapevole determinazione al riscatto. Un’esistenza segnata da valori eterni, la cui osservanza solo ha consentito continuare il proprio cammino nella storia. Se quei valori non fossero esistiti, quel mondo si sarebbe sgretolato in un’informe dimensione di abbrutimento ed inciviltà. Ma sono esistiti e oggi, che il moderno corso del progresso li ha pressoché cancellati, se ne avverte di nuovo il bisogno. L’Uomo appartenuto a quel mondo, a quella terra, li cerca, li avoca a sé, li brama per poter ritrovare, al loro caldo abbraccio, se stesso, la propria identità, il suo vero essere. È il “canto dei poveri” che torna da lontano e fa sentire la sua voce, semplice, genuina, spontanea come un lamento che, soffiando fra gli alberi e nelle vallate sembra voler risvegliare le coscienze dell’uomo moderno. Come quel canto è la voce di Emilio La Greca Romano che con la sua opera tenta di svegliare le coscienze per riportare l’uomo dei nostri giorni in una dimensione più umana, più sincera e spontanea, quale era quella dei giorni perduti. Domenico Chieffallo