Entrare nel mistero di un bambino che soffre significa immergersi in una dimensione che ci sfugge nella quasi totalità, perché la sofferenza è, e resta, un mistero. L’istintiva riposta che l’uomo dà al dolore innocente è la più radicale: “non c’è alcun senso alla sofferenza, non esiste alcuna divinità e, se esiste, non possiamo conoscerla e sapere che cosa pensa”. Per cui, senza una risposta di utilità, il dolore innocente può essere scartato e addirittura soppresso attraverso le derive eutanasiche pediatriche e statali, che questo testo approfondisce nella loro drammaticità e disumanità. Il mistero, tuttavia, per noi cristiani, ha poco a che fare con l’incomprensibile, non è un muro contro cui si infrangono le nostre pallide certezze, e Dio non è un despota arcigno che ci soverchia e ci chiede di accettare l’inaccettabile, senza obiettare. Anche Papa Francesco, incontrando tanti bambini infermi, è tornato sull’argomento per aiutare i cristiani a fare un cammino nelle piaghe di Cristo, nel dolore innocente, che non ha risposte immediate ed esige una ricerca contemplativa dove trovare una piccola luce che poi orienta la vita. La stessa ricerca contemplativa del Beato don Carlo Gnocchi, santo educatore milanese del secolo scorso, che questo testo riprende a partire dalla “Pedagogia del dolore innocente”; l’ultima sua opera che può essere considerata un testamento offerto alla Chiesa, perché si attui quella fantasia della carità nell’accompagnamento spirituale del dolore che, in questo contesto di cultura dello scarto e di morte preventiva, diventa un vero e proprio strumento della grazia divina per confutare il formarsi e l’attuarsi delle derive eutanasiche, sia applicate ai minori che agli adulti.