Si sogna per sfuggire alla realtà o si sogna perché non si sa accreditare al nostro quotidiano l’onirico che gli compete? Si sogna per travalicare i confini della creatività e della fantasia, per saggiare la nostra attitudine al volo, o semplicemente per ritagliarsi un’atemporalità, uno spazio non scandito dalla cronologia del tempo dentro il quale la nostra psiche si rianimi? Questa è la storia di un sogno d’amore su un’isola che non c’è. Per ottenere un autentico compiacimento emotivo abbiamo dovuto compiere una cesura arbitraria: ci siamo imposti di dimenticare il mondo circostante, le nequizie dell’umanità, le aberrazioni delle guerre, la violenza dei popoli, l’indifferenza del prossimo. L’unico errore commesso è stato proprio questo: è un arbitrio doloso (per due professionisti che hanno giurato in modo Ippocratico di lenire le piaghe del mondo) fuggire dal bisognoso, solo per ritagliarsi uno spazio autoreferenziale, breve ma intenso, in cui perdersi l’uno negli occhi dell’altra. Ma in fondo, lo sappiamo bene, bisogna perdersi per ritrovarsi...