“Il suicidio: responsabilità sociale?” Tratta il tema del suicidio quale grave problematica di salute pubblica, e pone interrogativi circa il ruolo del nostro attuale contesto socioculturale nella “scelta” dell’individuo di darsi la morte. Il breve volume si suddivide essenzialmente in due parti. Nella prima si cerca di delineare l’origine del disagio individuale proprio della nostra società contemporanea a partire dal contributo di Emile Durkheim (1858-1917) fino a giungere alla concezione di società “evanescente” elaborata da Giuliano Piazzi (1934-2014), disagio che in taluni casi può esplicitarsi in gesti autodistruttivi. Seguono la rappresentazione dello studio sul suicidio condotto da Emile Durkheim, la definizione dell’atto suicidario secondo l’OMS, e la complessità fenomenica della condotta suicida che impone, in chiave interpretativa, una visione necessariamente multidimensionale di tipo bio-psico-sociale. Sono esposti alcuni dati epidemiologici sulla dimensione del fenomeno in ambito globale, le linee guida fornite dall’OMS relativamente alla diffusione della notizia di suicidio da parte dei media, e il trauma subito dai survivors per la perdita del loro caro. La prima parte termina con l’esposizione degli indizi prodromici, dei fattori di rischio e dei fattori protettivi connessi al compimento della condotta autodistruttiva. Nella seconda parte dell’elaborato è ripercorsa la storia di Sofia, una donna che decide di togliersi la vita dopo aver tentato due volte il suicidio, per giungere a un’autopsia psicologica il più possibile esplicativa del suo atto estremo. Il testo si conclude con alcune brevi considerazioni sull’impatto che l’attuale situazione pandemica di Covid-19 può avere sul suicidio e sul rischio di suicidio, nonché sulla “responsabilità” che, secondo l’autrice, ricade sulla società quando il singolo “sceglie” la morte autoinflitta per “fuggire dalla vita.”