Il libro nasce per non dimenticare il momento storico del martoriato estremo lembo della Sicilia, del dissesto ambientale e sociale che provocò il tentativo di industrializzazione di quel territorio e la trasformazione di una società dedita all’agricoltura e pastorizia che viene a contatto con un benessere inaspettato e superiore ai propri standard di vita e che trasforma anche chi è dedito al malaffare, infatti proprio a Gela nasce, in contrapposizione a “Cosa Nostra”, la cosiddetta “Stidda”, organizzazione criminale caratterizzata da inaudita ferocia ed efferatezza. In città si susseguono in quegli anni numerosi omicidi, addirittura stragi; si spara e si uccide ovunque tra la folla ignara, nei mercatini rionali, nelle piazze. Si uccide anche per sbaglio o per non aver dato la precedenza per entrare in un bar. Numerosi commercianti vengono taglieggiati con la richiesta del “pizzo”; alcuni pagano con la vita, altri denunciano, con le relative conseguenze per sé e per i familiari. L’insicurezza nella popolazione per l’assenza di protezione delle istituzioni è palese. Lo Stato, per combattere questo modo di agire delle cosche mafiose e per affermare la sua presenza, cerca di porre rimedio facendo nascere un presidio giudiziario per poter processare sul luogo chi si fosse macchiato di tanti orribili reati e che potesse servire da deterrente per la città. Il Tribunale viene ubicato in una scuola nel centro storico della città; la magistratura, gli organi di polizia, il personale amministrativo e lo stesso foro dovettero affrontare non poche difficoltà. Oggi, nonostante le numerose chiusure e accorpamenti di siti giudiziari per economia, il Tribunale di Gela è operativo.