Quando si parla di disabilità, le parole più usate sono “inclusione” e “barriere architettoniche”. Ultimamente, molte persone disabili, soprattutto attraverso i social, si impegnano a (di)mostrare che non sono né eroi né vittime, che vivono la propria vita facendo tutto quello che fanno i non-disabili, in modo diverso. Così, il messaggio che passa è che non esistono ostacoli invalicabili, che si può vivere appieno anche in una condizione con importanti limitazioni. Ma c’è anche chi racconta una storia “fuori dal coro”, comunque piena di voglia di fare, di sogni, idee e progetti, senza sbandierare lo slogan del “volere è potere”. Il vero potere è rappresentato dalla cura. Quella affettiva, fatta dalle persone che ruotano attorno al disabile: coloro che si fanno carico della quotidianità, quelli che permettono di assaporare una cena fuori, un viaggio, un’esperienza speciale; e quella medico-scientifica, possibile grazie agli studi, alla ricerca, alla fiducia. La paralisi non è la conseguenza peggiore di una lesione del midollo spinale, è solo quella che si vede. Ciò che non è visibile può rivelarsi ancora più invalidante dell’immobilità. Invalido e invalidante non sono termini offensivi, ma vengono rifiutati dal politicamente corretto che preferisce sostituirli con un lessico più possibilista e parlare di “diverse abilità”. Il vero problema di una disabilità motoria è quando essa comporta la dipendenza dagli altri per tutto e per tutta la vita. Perché si può essere disabili e indipendenti allo stesso tempo, compiendo passi importanti nella vita.